di Marius Von Mayenburg
traduzione Clelia Notarbartolo
con
Fausto Cabra, Gianluigi Fogacci, Sara Borsarelli,Giuseppe Sartori, Anna Chiara Colombo, Francesco Giordano
e con la partecipazione di Manuela Kustermann
disegno luci Marco Giusti
video Paride Donatelli
suono Filippo Lilli
scene Danilo Rosati
costumi a cura di Manuela Kustermann
aiuto regia Paolo Costantini
Regia Giacomo Bisordi
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
con il contributo di NuovaImaie
Più “ambient”
Nella sua continua ricerca di nuove drammaturgie e di approcci alla scena, il Teatro Vascello ha scelto, per l’apertura della prossima stagione teatrale 2021-2022, di presentare al pubblico italiano la prima edizione di Peng, commedia scritta da Marius Von Mayenburg nel 2017 per la Schaubühne di Berlino all’indomani dell’elezione di Donald J. Trump negli Stati Uniti d’America.
“Quello che ho scritto è una reazione allergica a quanto sta succedendo negli ultimi anni. E devo ammettere che Trump è stata solo l’ultima di una serie di cose; prima di lui ci sono stati la Brexit, Erdoğan, Putin, Orbán, Kaczyński – l’elenco è lungo e potrebbe continuare.”
Che cosa resta di quella reazione allergica, cinque anni dopo, con il mondo travolto da una pandemia? Dove sono finiti quei nomi – e i loro epigoni – nel mondo segnato dal COVID? Qual è il prossimo stadio della nostra realtà politica nazionale? È a partire da questi interrogativi che s’innesca il progetto Peng.
La vicenda è semplice. Un bambino sale sul palcoscenico e si presenta al pubblico. Il suo nome è Peng e i suoi genitori sono i più amorevoli che si possano desiderare. Con dolcezza il bambino si rivolge agli spettatori: è l’occasione di raccontare la sua storia, di far conoscere quanto sia speciale, unico per intelligenza e determinazione. Quello che ne seguirà sarà un racconto in diretta della sua vita: come testimoni oculari avremo il privilegio di assistere alla straordinaria venuta al mondo di Peng, al suo primo commovente vagito, alle sue rocambolesche giornate d’asilo, alle sue intense lezioni di violino – perché secondo l’intuizione dei suoi genitori Vicky e Dominik, un bambino così fuori dal comune può non essere anche uno straordinario ed innato talento musicale? – , alla sua sana e consapevole educazione alimentare, alla sua relazione problematica con la babysitter, alla sua genuina passione per le armi fino alla sua prima, appassionatissima, campagna elettorale.
Fedeli all’indicazione dello stesso Mayenburg per cui “il teatro dovrebbe essere un luogo in cui non sentirsi al sicuro”, con Peng si costruisce un’atroce metafora politica, un’indagine drammatica sulla nascita di una nuova generazione di uomini forti, leader politici pregni d’amore incondizionato per le proprie nazioni, capaci di dare risposte molto semplici a problemi incredibilmente complessi.
L’allestimento, pensato come un adattamento alla realtà italiana della commedia di Mayenburg, sarà costruito come un documentario teatrale con una compagnia di sei interpreti, diretta da Giacomo Bisordi e formata da Fausto Cabra nel ruolo di Peng, Gianluigi Fogacci e Sara Borsarelli in quello dei genitori, Giuseppe Sartori di un regista televisivo, Anna Chiara Colombo e Francesco Giordano, interpreti di dieci figure differenti, da una dottoressa fedele ad Ippocrate ad un’ostetrica narcisista, da un venditore d’armi sfuggito agli anni ‘80 ad un vittima ripetuta di violenza domestica.
Un bambino fuori dal comune o semplicemente un deforme? Deformità che pervade tutti in questa commedia dimentica delle regole, messa alla prova sul palco del Teatro Vascello, in continua ricerca di quello scontro politico e – perché no – ideologico che è alla base di ogni dialettica e quindi, in definitiva, di ogni possibile sintesi.
note di regia
Mentre scrivo queste righe ho appena digerito la conferenza stampa del più recente DPCM, il primo della Presidenza del Consiglio Draghi. Il sistema dell’informazione italiano è in cerca di nuove tracce, di nuovi sussulti che Palazzo Chigi si guarda bene dal fornire. L’assetto scenico della conferenza è decisamente cambiato: prima avevamo un podio in plexiglass, ora un lungo tavolo su un praticabile foderato di velluto rosso. Le bandiere, italiana ed europea, sono moltiplicate ed in bella vista. Il capo dell’ufficio stampa e portavoce siede accanto agli oratori e non è più ritto in piedi a gestire il traffico di domande. Regna un apparente clima di rigore istituzionale; commentatori molto più profondi di me già rilevano come questa strategia comunicativa serva a riequilibrare un poco la sbornia di notizie offerta dal precedente gabinetto di governo. Mi è capitato di rimanere incantato da quell’apparente desiderio di essere noiosi. Di non voler emozionare. Per dovere di cronaca – appunto – la conferenza è comunque durata più di un’ora ma la domanda che resta è se sia stata la prolissi dei ministri intervenuti a parlare o il tentativo dei giornalisti di ricavare qualche segno misterico in più, o entrambe le cose, a far passare i minuti inesorabili.
Il piccolo Peng si presenta a noi: vuole scatenare un’esplosione in grado di rompere quest’asfissiante pace europea. Viene da domandarsi: possiamo davvero dirla una frase del genere, oggi? Inabissati come siamo nella metafora bellicista con cui è trattato il COVID, la parola pace su un palco risuonerebbe quanto meno rischiosa. Mi chiedo quindi a quale pace europea potrebbe riferirsi. Trattando la pace come noia, forse Peng si appella a quella sottile vibrazione della coscienza che si innesca in noi nel momento in cui, per esempio, cade un governo. O quando – chi se lo ricorda? – qualche anno fa un attentato di Isis ci provocava un rilascio di sgomento e sollievo. In tedesco esiste una parola: schadenfreude, letteralmente “gioia per il danno (altrui)”. Forse con la capacità compositiva del lessico tedesco possiamo inventare un termine che definisca questa sorta di “gioia per l’accadimento”. Dove sta la sua radice?
Peng è un testo nato in una nazione molto diversa dall’Italia. Noi non siamo la Germania. Mettere in scena questo testo, qui, nel bel paese, può avere una forza inedita. Ed è per questo che va adattato al nostro mondo, al nostro linguaggio. Va riscritto – come suggerisce lo stesso Mayenburg. Come mai prima d’ora. La commedia è una metafora satirica in cui si indagano le responsabilità di Vicky e Dominik, i genitori del bambino. Chi lo ha fatto nascere – biologicamente e metaforicamente – che cosa ha fatto per impedirne l’ascesa definitiva? Perché non gli ha mai tirato uno schiaffo al momento giusto? Come è possibile che una coppia di genitori all’apparenza così politicamente e socialmente sensibili, impegnati come sono nella lotta alla violenza di genere e nel consumo di prodotti alimentari biologici, non abbia fatto alcunché per fermarlo?
Peng è un documentario teatrale sul lavoro di una compagnia di attori e attrici alle prese con questa drammaturgia, in Italia, nel 2021: lo spettacolo è tutto rivolto al pubblico, forse le luci di sala dovrebbero essere addirittura accese come in una perversa e tradizionalissima parodia di un testo epico di Brecht. Peng dovrebbe continuamente rivolgersi ad ogni singolo spettatore, convincerlo che quello che afferma potrebbe essere soltanto la lettura e l’esposizione dei nostri pensieri. Spesso inespressi. Dormienti e pronti ad innescarsi al momento giusto.
Giacomo Bisordi